venerdì 21 settembre 2012

Pina

E' il mio turno ... dovrei presentarmi. Dunque: Mi chiamo Barbara, piacere! Alcuni amici mi chiamano Pina, molti conoscenti pensano perfino che sia il mio vero nome; in realtà è un nomignolo che mi porto dietro dalla mia "prima vita" e ci sono parecchio affezionata, per cui . . . chiamatemi come preferite.  Drillo si è presentato secondo i canoni classici, io ho pensato di farlo in altro modo. D'altra parte quello che sono, che faccio e che rappresento nella "squadra" lo leggerete via via che pubblicheremo post, così ho pensato di riportare qui di seguito un articolino che avevo scritto un anno fa per il Centro dove lavoro (ve ne ho parlato nel post perché siamo qui). Quello che sono, con le mie passioni e le mie caratteristiche, per me è scritto lì, in quell'articolo che è nato come interpretazione di un'esperienza fatta al Centro di Casa del Duca e si intitola "Il Mio Inferno". L'inferno a cui mi riferisco è quello di
Dante e l'esperienza è il frutto di un progetto integrato di musicoterapia e teatro sociale sull’intelligenza emotiva, percorso fatto per imparare a riconoscere e gestire le proprie emozioni e quelle degli altri. Purtroppo due mesi prima del nostro debutto a teatro era venuta a mancare “Stefanella”, storica ospite del Centro,  eterna "ragazza" affetta da sindrome di down, emblema della tenerezza. Stefanella era la protagonista della scena di Paolo e Francesca e nello spettacolo non venne sostituita ma la scena fu affiancata da un video realizzato durante le prove, grazie al quale il pubblico ha potuto apprezzare il sentimento e il trasporto messo da Stefanella nella sua danza.  

Ecco cosa scrissi: 

Anch’io, Barbara, vi voglio raccontare la “mia” esperienza del nostro Inferno. Sono da sempre la “ballerina” del Centro. Ho quasi 40 anni e ballo (a parte qualche anno di pausa) da quando ne avevo 9. Ho cominciato con la danza classica e sono passata attraverso quella moderna, poi il Jazzercise, l’hip hop e tanti altri stili che vanno di moda ora: raggaetton, wacking, housing, locking, vogueing… ho ballato su diversi palcoscenici: al Pietri, ai Vigilanti, alla Linguella, alla De Lauger, in quasi tutte le piazze dell’Elba, in diversi campeggi e alberghi, in discoteca, in palazzetti dello sport, giardini pubblici, viali, perfino sul ponte d’imbarco dell’Oglasa (o Marmorica, non ricordo), alle miniere di Punta Calamita, sulle fortezze a Portoferraio e sullo Scoglietto in mezzo a centinaia di uova di gabbiano. Ho ballato all’Elba e fuori dall’Elba, non solo per passione ma anche per lavoro. Eppure, quella scena di Paolo e Francesca non mi ha fatto dormire per diverse notti. Quando Silvia mi presentò la sua idea, quando cioè cercò di farmi capire come doveva essere “resa” la scena, io fui subito presa dall’ansia: oddio, devo ballare con Stefanella, e ora che faccio? Mi dovrò inventare una coreografia? Eppure ogni paura svanì con la prima prova. Stefanella prima di me aveva capito quello che doveva essere fatto e senza tante spiegazioni preliminari. La canzone “Irraggiungibile” di L'aura evidentemente evocava in lei proprio l’emozione “giusta” che doveva essere espressa. Sulle note di quella canzone Stefy iniziò a muoversi come a rappresentare un “gioco” fra innamorati: uno scappa e l’altra rincorre, uno porge la mano e l’altra la accoglie, uno accenna un abbraccio e l’altra ricambia. La scena prese forma da sé, ad ogni prova risultava diversa ma quello che emergeva era sempre la stessa cosa: la tenerezza di due innamorati che, nonostante tutto, continuano ad amarsi e a cullarsi sulle note del loro amore. Ecco perché per me è stato così difficile entrare in scena senza Stefanella: perché non c’era la mia innamorata, non c’era la mia ballerina, potevo cercare di immaginare che fosse lì con me, a ballare e giocare come amava tanto fare: con i suoi gesti lenti, ma così dolci, con le sue minuscole mani che ricambiavano ogni mio gesto, con il suo respiro tanto affaticato, con il suo amore instancabile. Adesso l’ho capito perché è stato così difficile … perché ero SOLA. 

E' proprio così gente, si può imparare ovunque e da chiunque, la vita è bella finché c'è scambio, comunicazione, amore. Vivere in una "squadra" come ho definito io la mia famiglia vuol dire fare i conti ogni giorno con l'altro, anche se ha meno di 10 anni o quasi 50. E, se vi fa piacere, qui c'è anche il video di quell'esperienza meravigliosa a teatro, che ha contribuito a farmi capire chi sono. 





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